Migra - osservatorio sulla discriminazione degli immigrati nel lavoro

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Più immigrati e decisi a restare di Giovanna Zincone

  • 11/10/2007
  • Giovanna Zincone

E’un pezzo che gli italiani dicono che gli immigrati sono troppi. Lo dicevano anche agli inizi degli Anni 90, quando erano pochi. Adesso almeno possono sostenere a ragione che sono molti. Sulla base dei dati ufficiali costituiscono il 5 per cento dei residenti, secondo le stime dell’ultimo annuario Caritas, presentato ieri, raggiungerebbero il 6,2 per cento sul totale della popolazione. In alcune città come Prato e Brescia superano il 10 per cento, a Milano vanno oltre l’8 per cento. Ma, al di là della realtà numerica, opera quell’effetto «lente d’ingrandimento» tipico dei fenomeni sociali: la rapidità del loro sviluppo. Nel nostro Paese l’immigrazione sta aumentando molto e molto in fretta: insieme con la Spagna siamo la destinazione europea più in crescita. Perciò non meraviglia che la percentuale di italiani che lamenta il numero eccessivo di immigrati sia schizzata in sei anni dal 71 all’81 per cento. Non meraviglia che gli stessi italiani dubitino della generale capacità di accoglienza, della tenuta dei servizi. Istruzione e sanità sono sotto pressione. E poi i nazionali, a prescindere dai dati statistici, vedono con fastidio l’infittirsi delle file per gli esami clinici, i sorpassi nelle graduatorie per gli asili nido e per l’edilizia convenzionata, l’occupazione degli spazi pubblici. È un atteggiamento proprietario, poco generoso? Può darsi, ma bisogna farci politicamente i conti. D’altra parte, gli stessi italiani «taccagni» in casa, si dichiarano teoricamente generosi rispetto agli aiuti all’estero. Secondo i sondaggi (e di nuovo siamo all’80 per cento), gli italiani sono convinti dell’utilità di contenere l’immigrazione attraverso una politica di sostegno economico ai Paesi di provenienza. È una ricetta molto in voga anche tra alcuni decisori pubblici. Solo a livello retorico, di soldi di fatto se ne sono sempre spesi pochi. La popolarità della ricetta preoccupa perché nasconde tre tesi sbagliate. Prima tesi: gli aiuti internazionali sarebbero in grado di colmare i dislivelli di sviluppo responsabili delle migrazioni, ma i dislivelli sono spesso tali da rendere improbabili recuperi in tempi brevi e con trasferimenti giocoforza limitati. Paradossalmente, proprio l’i mmigrazione può costituire un volano del recupero economico: forti emigrazioni alleviano la mancanza di lavoro e di reddito, mentre rimesse indirizzate verso attività produttive possono creare posti di lavoro in patria. Seconda tesi: le migrazioni sono generate solo dal bisogno di chi emigra e non dalla necessità dei Paesi ricettori. Oggi in Italia il tasso di occupazione degli stranieri è più alto di quello degli italiani (67 per cento di contro al 58 per cento) e tocca addirittura l’84 per cento per i maschi. Certo anche il tasso di disoccupazione è relativamente più alto, ma di poco: solo di due punti. E sappiamo sia che la disoccupazione degli stranieri dura meno, sia che quei due punti, oltre ad essere fortemente condizionati dall’elevato tasso di disoccupazione femminile, nascondono una presenza più alta di lavoro nero. Insomma gli immigrati sono la fascia più flessibile della forza lavoro e sono anche in molti settori un fattore indispensabile alla tenuta del sistema economico italiano. Sono pure un antidoto alla delocalizzazione: le imprese che non trovano qui la manodopera necessaria si spostano all’estero. Terza tesi: la strategia dell’aiutiamoli a tornare a casa si basa sul presupposto che il grosso dell’immigrazione italiana sia facilmente «sradicabile». Il Rapporto Caritas 2007 conferma esattamente il contrario: si consolidano i segnali di radicamento. I bambini e i ragazzi vanno a scuola, le famiglie fanno figli. Aumentano gli acquisti di case e, nonostante una legge ancora piuttosto severa, aumentano pure le naturalizzazioni. Insomma, l’immigrazione è qui per restare. È quindi necessario dedicare molto impegno all’integrazione. Non siamo ipocriti. È normale che il grosso dello sforzo ricada sugli immigrati: loro devono imparare la nostra lingua, abituarsi ai nostri costumi, rispettare le nostre leggi. Però anche i nazionali sono costretti a compiere uno sforzo: accettare un profondo cambiamento del panorama umano che li circonda. Se vogliamo aiutare anche i nazionali nel loro difficile percorso verso l’integrazione, dobbiamo ridurre l’impatto dell’ostacolo principale: la criminalità di origine immigrata. Della cui entità, di nuovo, il rapporto Caritas dà allarmante conferma. Solo a questa condizione, si può tentare di convincere gli italiani di un’ovvia realtà: gli stranieri sono già in piccola parte nostri concittadini, lo saranno in numero crescente.